domenica 27 aprile 2014

 

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domenica 20 aprile 2014


La rentrée del Mali

Islam e società. Con le ferite della guerra ancora aperte, gli intellettuali del paese africano s’interrogano su come reagire all’invadenza delle pratiche magico-religiose nella sfera politica

Svolta poli­tica impor­tante, in Mali: dopo le dimis­sioni del pre­mier Oumar Tatam Ly in carica da pochi mesi, è il tren­ta­no­venne Moussa Mara – ex sin­daco di una delle cir­co­scri­zioni di Bamako, cam­pione della lotta alla cor­ru­zione e famoso per il suo dina­mi­smo – ad assu­mere la guida del nuovo governo che si è inse­diato lo scorso 11 aprile. Si apre così una fase ine­dita, rispetto agli eventi di un paio di anni fa, quando la regione dell’Azawad è scon­volta da vel­leità indipendentiste-jihadiste e nella capi­tale ha suc­cesso il golpe del capi­tano Ama­dou Haya Sanogo con­tro Ama­dou Tou­mani Touré, pre­si­dente inde­bo­lito e al ver­tice di un sistema sì demo­cra­tico, ma ina­de­guato a gestire il con­flitto coi ribelli tua­reg del nord. I gruppi armati sono, ini­zial­mente, con­trol­lati dal Movi­mento nazio­nale di libe­ra­zione dell’Azawad (Mnla), che poi sce­glierà di allearsi (con sorti alterne) alle mili­zie isla­mi­ste del Mujao, Ansar Eddine e Aqmi.
Solo l’operazione «Ser­val», pre­di­spo­sta dalla Fran­cia nel gen­naio 2013, su richie­sta del pre­si­dente ad inte­rim Dia­counda Traoré, tam­pona un qua­dro pas­si­bile di con­durre il Mali alla spac­ca­tura. Nell’intento di ritro­vare un’esistenza poli­tica nor­male, già nell’agosto, sono indette le ele­zioni per il capo di stato, che vedono la vit­to­ria d’Ibrahim Bou­ba­car Keïta, figura gra­dita a Parigi e appog­giata dai lea­der reli­giosi. A tale con­sul­ta­zione, segue il rin­novo del Parlamento.
Ma, nel 2014, la crisi è dav­vero die­tro le spalle? Nelle città del centro-sud non vi è segno di ten­sione e la pre­senza dell’esercito sulle arte­rie extra-urbane è vistosa. La vita ha ripreso il suo corso: l’economia tenta di ripar­tire, con­fi­dando nei fondi pro­messi dalla Ue; mille riforme sono in campo; Sanogo viene arre­stato con l’accusa di omi­ci­dio (mal­grado la pro­mo­zione a gene­rale); una com­mis­sione «verità-giustizia-riconciliazione» è nata a marzo… Eppure, le ferite restano aperte, e le pro­vince del nord (Gao, Tim­buctu, Kidal) cono­scono una pace pre­ca­ria, con le forze del Mnla onnipresenti.
L’esigenza dei maliani d’immaginare il futuro su nuove basi è pal­pa­bile, al punto che per­sino una mani­fe­sta­zione dedi­cata alla let­te­ra­tura, come la Ren­trée lit­té­raire (25–28 feb­braio), ha posto al suo cen­tro il tema «diver­sità e con­vi­venza». Come ha spie­gato il mini­stro della Cul­tura Bruno Maïga, la Ren­trée si è qua­li­fi­cata quale spa­zio che ha per­messo agli intel­let­tuali di con­fron­tare le loro espe­rienze a con­tatto con il pub­blico. Nei dibat­titi si è messo l’accento sulla plu­ra­lità delle voci nel paese, in una pro­spet­tiva di ugua­glianza, libertà e auto­no­mia, inter­ro­gan­dosi sul ruolo della lai­cità nella lotta alle discri­mi­na­zioni e nel pro­muo­vere l’integrazione fra le com­po­nenti socio-culturali esi­stenti. Pre­cise que­stioni sono emerse quali nodi irri­du­ci­bili: la crisi maliana è stata un fat­tore di rego­la­zione sociale, un indi­ca­tore di resi­stenza al cam­bia­mento o il sin­tomo dello spro­fon­dare di un’intera col­let­ti­vità? Che giu­sti­zia per­met­terà di rites­sere i legami sociali? Quale gover­nance, fra decen­tra­mento ammi­ni­stra­tivo e fede­ra­li­smo, favo­rirà la ripresa?
Espressa in maniera chiara, una pre­oc­cu­pa­zione acco­muna oggi gli intel­let­tuali: come rea­gire all’invadenza socio-politica dall’islam, rispetto a un appa­rato sta­tale privo di ener­gie, in un paese mul­tiet­nico e for­mal­mente laico (come atte­sta la Costi­tu­zione del 1992), ma in cui il 90% della popo­la­zione è di fede islamica?
Seb­bene le istanze jiha­di­ste siano state iso­late, la reli­gione si è affer­mata, nella prassi quo­ti­diana, come fonte di legit­ti­mità per il potere. Per altro, di recente, il mini­stro all’Urbanistica, per­so­nag­gio di peso, ha soste­nuto che solo le orga­niz­za­zioni musul­mane sono in grado di mobi­li­tare le masse. I par­titi non rie­scono a coin­vol­gere i cit­ta­dini. In caso di neces­sità que­sti ultimi non si rivol­gono alle isti­tu­zioni pub­bli­che, ma sanno che l’unico pos­si­bile soc­corso può venire dalle orga­niz­za­zioni con­fes­sio­nali, impe­gnate in ambito uma­ni­ta­rio. Il feno­meno è tal­mente rico­no­sciuto che, ormai, gli stessi espo­nenti poli­tici cer­cano di assi­cu­rarsi il soste­gno del mondo reli­gioso, in pri­mis dell’Haut Con­seil Isla­mi­que du Mali, ma pure quello di nota­bili come gli shaykh delle mag­giori con­fra­ter­nite o i grandi mara­bouts, dai quali si lasciano con­si­gliare e accom­pa­gnare per accre­scere il pro­prio prestigio.
L’importanza degli skaykh e dei mara­bouts non si con­nette, comun­que, in maniera esclu­siva alla loro abi­lità nelle pre­di­che, fatte in moschea o tra­smesse via radio, tv, cd e cas­sette, ma va attri­buita alle facoltà misti­che e magico-religiose di cui sareb­bero deten­tori alcuni di loro. Insomma, il potere poli­tico diviene in qual­che misura suc­cube di un rap­porto con l’invisibile e le forze che lo domi­nano, che nes­suno o quasi, mette in dub­bio. Un cele­bre detto riflette tale realtà con sar­ca­smo: il Mali è un paese al 90% musul­mano, al 10% cri­stiano e al 100% animista…